Il Carnevale a San Salvatore

Mascarati a San Salvatore

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Il Carnevale è sempre stato per la comunità di San Salvatore un rituale quasi sacro, tramandato per intere generazioni da secoli.
Il martedì grasso infatti, le strade del paese si riempiono di maschere, i cosiddetti mascarati, travestiti con vecchi abiti dimessi e macabri, che sfilano in un corteo al suono di zampogne e tamburello, guidati dal capo maschera u puddicinedda, anch’esso travestito ma col viso scoperto. Il corteo si sofferma ad ogni piazza del paese per danzare, guidati dall’occhio vigile di un altro importante protagonista che è u mastru i ballu, che insieme u puddicineddanvita i mascarati a farsi nu giru a fora u primu.

Ospite fondamentale di tutto il corteo sarà il Re Carnevale, costituito da un pupazzo di paglia che viene tenuto in trono e fatto girare per il paese.
A fine corteo, tutte le maschere si fermano nella piazza più grande del paese, mostrando finalmente il loro viso, e raggruppandosi  in cerchio assistono al rogo del pupazzo che personifica il Re Carnevale, continuando a danzare per il resto della serata al suono di tarantella.
Lo storico Orlando Sorgonà, in una sua pubblicazione, rintraccia origini greco latine in quello che è il carnevale calabrese, nonché di San Salvatore.
Sostiene Sorgonà:  “ I rituali dell’incoronazione, del processo, del testamento, della morte, del bruciamento di Carnevale – che variavano di zona in zona, da paese a paese – riconducono ad antichi riti agropastorali di inizio anno, di rinascita della natura, di passaggio da una stagione all’altra, in cui centrale era il rapporto con i morti e con le divinità sotterranee. Ancora oggi in  molti paesi e contrade della regione rimane la processione di nannuzzu carnulivaru, l’antico rito funebre

l’ “uccisione” del fantoccio di carnevale

che celebra la morte di carnevale. Il fantoccio che impersona tutto quello che è vecchio e che rappresenta il male che è successo nell’anno trascorso, viene bruciato sulla pubblica piazza a tarda sera.
Questa del fantoccio è una forma in cui la sostituzione di un fantoccio ad un uomo vero attenuava un antico rito cruento che puo essere ricollegato al rito annuale dell’espulsione del pharmakoi dell’antica Grecia, che mirava ad espellere periodicamente la macchia accumulata l’anno trascorso.
I pharmakoi venivano reclutati tra la feccia della popolazione, tra coloro che per i loro misfatti, la loro bruttezza fisica, la loro bassa condizione, le loro occupazioni vili e ripugnanti erano considerati inferiori. Succedeva a volte che si delegasse a un membro della comunità il compito di assumere questo ruolo di re indegno, di sovrano alla rovescia. Il re si scarica su un individuo che è come la sua immagine rovesciata di tutto cio che il suo personaggio puo comportare di negativo. Tale è appunto il pharmakos, ma finita la festa, il contro re viene espulso o messo a morte, trascinando con se tutto il disordine che incarna e di cui purga nello stesso tempo la comunità.
Come ha opportunamente detto Bachtin, Carnevale non era soltanto una festa, esso era una concezione del mondo e della vita, rappresentava al seconda vita del popolo in opposizione alla visione ufficiale, aristocratica, seriosa del mondo.”